Cerca nel blog

lunedì 31 agosto 2020


            Cerchiara di CalabriaCassano allo Jonio

Archivio e biblioteca di Casa Rovitti.

         Gli sforzi compiuti per tracciare una geografia della presenza libraria sul territorio calabrese (almeno questo è stato l’intento) hanno puntato a delineare una rete degli accumuli librari nella Calabria medievale (vedi: Produzione libraria e biblioteche, in: Storia della Calabria medievale. Culture, arti, tecniche, Roma, Gangemi, pp. 115-148). Naturalmente il risultato è sempre passibile di perfezionamento, ma il quadro che ne viene fuori, può almeno funzionare da base per ulteriori arricchimenti.
         Lasciando, perciò, alle spalle i secoli delle biblioteche monastiche e umanistiche, e disperse le loro ricchezze in mille rivoli, complici i terremoti, le rivoluzioni napoleoniche, gli sconvolgimenti unitari, l’incuria degli uomini, il territorio calabrese è apparso assai povero di biblioteche e di libri.
Ancora nel 1911 il viaggiatore e scrittore inglese Norman Douglas, trovandosi a Rossano Calabro e desiderando approfondirne la storia, chiedeva a un ‘poco gentile’ impiegato comunale se vi fosse una biblioteca pubblica e si sentiva rispondere ‘con sufficienza’ che la cittadina ‘non possiede simili enti’! (vedi: Vecchia Calabria, ed. Firenze 1978, p.164).
Non che le raccolte private presso famiglie della borghesia e della piccola nobiltà locale siano mancate, ma soggette anch’esse a vicende di dispersione, hanno lasciato tracce che attendono di essere individuate e ricomposte. Quando, naturalmente, siano scampate, e non ‘jettate e ra timpa’ (gettate nelle discariche), usanza questa non insolita dalle nostre parti, prima che l’alfabetizzazione di massa e una certa elevazione culturale svelasse e rivelasse l’uso e l’utilità dei libri.
Per tale motivo ho provato contentezza e soddisfazione nel ritrovare casualmente (presso un venditore di scartafacci e libri usati di Ravenna !) un documento che testimonia l’esistenza di un archivio e di una biblioteca di famiglia, intorno al 1864, presso la famiglia Rovitti.
         Il nome Rovitti è quello di ricchi proprietari terrieri che, amministrando le loro proprietà fondiarie, consolidano la loro ricchezza e la loro egemonia sociale con l’accesso alle cariche pubbliche e alle professioni liberali. In pieno centro di Cerchiara di Calabria (CS) sorge un Palazzo Rovitti, antica dimora del sec.XVIII (restaurata negli anni '80 del passato secolo). Il livello culturale e i rapporti sociali di questi signorotti sono dichiarati dal ricordo che nella loro dimora fu ospitato il celebre astronomo francese Nicolas Camille Flammarion (1842-1925), il quale dall'osservatorio del palazzo scoprì un astro che fu denominato ‘Roberta’. La famiglia Rovitti godeva anche il favore dei Reali del Regno delle due Sicilie, ricordati anch’essi fra gli ospiti illustri della Casa.
         Il documento in esame è stato prodotto nel 1864. Trattasi di un fascicoletto cartaceo di 14 carte manoscritte, le ultime 5 bianche, mm 200 x 145, cucito con filo di cotone bianco e senza copertina. La carta è a mano e reca in filigrana il nome del fabbricante Nicola Marino e una conchiglia entro un cerchio (Amalfi).
         Sul recto della carta iniziale leggiamo questa intestazione in carattere corsivo:


Anno 1864 (1° dell’).
Stato generale dell’Archivio di Casa
Rovitti
contenente manoscritti e libri
di ogni genere
diviso in nove Scaffali.




© Tutti i diritti riservati

Appare chiara la natura amministrativa del documento, confermata dalla presenza sul recto di tutte le pagine scritte di marche da bollo, con effigie di Vittorio Emanurle II (Cent.50), annullate con timbro tondo a inchiostro dell’Ufficio del Registro di Castrovillari, e una marca finale di Registrazione (Lire Una). Tutti i timbri recano l’anno 1877, salvo quello della marca di Registrazione che reca l’anno 1878.
Al recto della carta successiva viene riportato un elenco dei nove scaffali con un titolo cumulativo del contenuto:


Primo. Anno corrente.
Secondo. Crediti, beni stabili, e censi.
Terzo. Titoli, memorie, onorificenze, corrispondenze, e manoscritti di famiglia.
Quarto. Corrispondenze di Autorità, e di affari di rilievo.
Quinto. Carte inutilizzate, ed estranee.
Sesto. Corrispondenze antiche anteriori al 1855.
Settimo. Libri di Scienze naturali e Teologiche.
Ottavo. Libri di Storie, e Geografia.
Nono. Libri di Letteratura.


© Tutti i diritti riservati

         I titoli sono sintetici e lasciano immaginare che per scaffale debba intendersi una struttura articolata e capiente. Se ne ha certezza nella descrizione del primo scaffale, alla c.3r e v, che è suddiviso a sua volta in dieci caselle. Lo scaffale secondo, cc.4r-5r, raggiunge una suddivisione di ventisette caselle. Non è facile immaginare la struttura materiale che abbia potuto comprendere questa suddivisione. C’è da supporre che a Casa Rovitti l’archivio e la biblioteca occupassero una sala sufficientemente ampia e adeguatamente attrezzata.
I libri sono collocati nel Settimo, Ottavo e Nono scaffale.
Nel Settimo troviamo: Libri di Scienze Naturali, e Teologiche. Nell’Ottavo: Libri di Storia, e Geografia. Nel Nono: Libri di Letteratura. A questi titoli sintetici apporta chiarimenti una nota  che si legge in calce:


«N(ota) B(ene). Pel dettaglio di questi tre ultimi scaffali bisogna ridursi al catalogo generale de’ libri che è riposto nella Libreria»


La nota è preziosa perchè informa dell’esistenza di un catalogo generale e di una libreria, verosimilmente un mobile libreria, che custodiva i libri e il catalogo.
Dell’uno e dell’altro non sono in grado d’indicare la sorte. Le vicende dei libri seguono quelle degli uomini e possono essere le più varie, conoscibili non per ipotesi, ma per esatta cognizione storica. Sui libri di Casa Rovitti personalmente non ho altre informazioni, ma non è detto che non se ne possano trovare.




© Tutti i diritti riservati


Poco vorrei aggiungere ancora, se non far notare l’abilità calligrafica dell’estensore del documento, ricordando che nelle scuole ottocentesche l’insegnamento della calligrafia veniva comunemente impartito.
(Continua)

sabato 1 agosto 2020

Ricordando Maurizio Calvesi:

un sentimento d’amicizia nel segno del Polifilo Prenestino


Antonio Maria Adorisio

    Forse, dovrei scrivere “nel sogno”, ma mi sembra una superflua tautologia. Il Sogno di Polifilo, sin dal 1499 quando è venuto alla luce, ha continuato a generare sogni su sogni. La vaporosa aura di bellezza e la dotta trama in cui Polifilo resta invischiato mentre ricerca la sua desideratissima Polia continua a irretire anime sensibili al loro fascino.
    Una fra le più innamorate è stata certamente quella di Maurizio Calvesi, scomparso a 92 anni nei gioni passati (24 Luglio).
     Per lo storico dell’arte che vive a Roma è difficile, se non impossibile, sottrarsi all’evidenza delle antichità romane che con maggiore o minore frequenza incontra lungo ogni percorso quotidiano, dentro e fuori le mura. Se ti muovi dentro la città gli obelischi e gli archi ti vengono incontro nei nodi cruciali del traffico, i circhi e gli anfiteatri generano immense vertigini di spazi, le colonne e i capitelli di cipollino o travertino occhieggiano fra le muratura degli edifici, albicando tra le malte di rossa pozzolana e i ben costrutti sesquipedali delle figuline imperiali. Se ti allontani, poi, lungo le vie consolari antiche, lasciando alle spalle le carovane degli archi degli antichi acquedotti, può succedere di pellegrinare da un mausoleo a un colombario, epigrafati con i nomi di fortune passate, o, ancora raggiungere il grande rudere sulla collina, il tempio della Fortuna Primigenia, con il suo tesoro di mosaici, dal quale, se il giorno ti arride, puoi scorgere il monte Circello e il ceruleo occhieggiare della Maga che ammaliò mitici navigatori erranti.
   In quale altra città del mondo il viaggio di un personaggio, Polifilo, partorito dalla fantasia sublime di uno scrittore può essere simulato da questa stessa realtà? Non può che apparire naturale che un giovane storico dell’arte, nutrito da tanta bellezza, abbia provato quegli stessi sentimenti di fascinazione che prova Polifilo nel suo itinerario. In quale altra opera letteraria o poetica si compie un viaggio fra tante meravigliose rovine come nel Sogno di Polifilo? La realtà e l’invenzione letteraria si confondono, il sogno simula la vita, la vita il sogno. Bisogna essere nati a Roma, come Maurizio Calvesi, per capire che lo storico dell’arte e della cultura romana, non può che associare la sua esperienza a quella dell’immaginario e straordinario autore del Polifilo. Il quale, poi, non può essere altro che un romano, o, al meno un Signore, come il Principe di Palestrina, Francesco Colonna Prenestino.
   L’imperdonabile fascinazione coinvolse anche il giovane bibliotecario, quando nel corso di lavori di riordinamento della collezione degli incunaboli della Biblioteca Casanatense, fu spinto a interpretrare alcune tendenze e caratteristiche della produzione editoriale romana di fine secolo. Ne nacquero due articoli (-Editoria e libro illustrato a Roma nel sec.XV, in «Accademie e Biblioteche d’Italia», XLIV (1976), 206-213, Figg.1-2; -Cultura in lingua volgare a Roma fra Quattro e Cinquecento, in: Studi di biblioteconomia e storia del libro in onore di Francesco Barberi, A.I.B., Roma, 1976, 19-36, Tav.I). In entrambi gli scritti non potei che restare attratto e menzionare l’articolo di Maurizio Calvesi con la nuova identificazione dell’autore del Sogno di Polifilo (Identificato l’Autore del Polifilo, in «L’Europa letteraria», VI (1965), 9-20).
   Il Sogno di Polifilo, intanto, divenuto il sogno di Maurizio Calvesi, ricevette nuove attenzioni, a partire da memorabili corsi universitari attraverso i quali l’appassionata ricerca si trasmise a una schiera di valorosi allievi, fra cui l’ottimo amico Stefano Colonna. Gli studi confluirono in due volumi monografici: nel 1980 Il sogno di Polifilo prenestino (Roma, Officina Edizioni), e nel 1996 La «pugna d’amore in sogno» di Francesco Colonna romano (Roma, Lithos editrice). Con un’attenta e dottissima analisi Maurizio Calvesi ha esplorato l’opera in tutti i suoi più nascosti elementi, giungendo a evidenziarne «il rilievo che il Sogno di Polifilo ha nella storia del pensiero di una grande epoca» (Eugenio Garin).
   La mia consonanza con il sogno di Maurizio Calvesi ha generato anche un filo di amicizia umana, che oggi viene reciso, ma che si è manifestato con il dono di una copia della Pugna d’amore, che mi fu recapitata a mano con indirizzo manoscritto autografo sulla busta:
 
   Francesco Colonna: uno straordinario frate domenicano imbevuto di classicità coadiuvato da un disegnatore mantegnesco, oppure un Signore singolarmente avvertito degli sviluppi del pensiero umanistico in quel crogiuolo di letterati e di artisti esaltati dalla scoperta delle antichità romane e attirati dai Papi rinascimentali? Fermo restando il giudizio sull’opera letteraria espresso da Eugenio Garin, le opinioni sul volto dell’Autore divergono, ma non nell’occhio dell’usuale frequentatore di Roma, che continua a leggerne le copiose tracce nelle rovine antiche dell’Urbe e del Suburbio.
   Irretito dal fascino del Sogno di Polifilo, continuo ancora a sovrapporre il sogno e la realtà e a credere che solo un raffinato Signore, “Prenestino” o “Romano” che fosse, abbia potuto operare questa mirabolante favolosa alchimia.
   Vale, Maurizio Calvesi, e grazie per i bellissimi studi e le strade che hai aperte, che ci permettono ancora di vegliare nel
Sogno di Polifilo !
*   *   *
*   *
*