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martedì 27 aprile 2010

IL GRIFO E L’ANCORA


Seconda aggiunta.

    Il lettore cinquecentesco di Angelo Poliziano ne condivideva probabilmente alcuni interessi. In primo luogo proprio quello verso gli storici e la storia. Egli, oltre al ricordato frammento di discorso storico, ha lasciato nel libro alcune note di lettura che riguardano solamente le pagine in cui è stampata la Praefatio in Suetonij expositionem (pp.117-134). Questa prolusione il Poliziano la scrisse in occasione di un corso su Svetonio tenuto nel 1490-1491 ed è stata edita la prima volta da Aldo Manuzio nel 1498.
    Poliziano tesse le lodi della storia, accogliendo una definizione di Cicerone che la chiama "testimone dei tempi, faro della verità, vita della memoria, disvelazione dell'antichità" (temporum testem, lucem veritatis, vitam memoriae, nunciam vetustatis). Non piccolo merito della storia è, poi, quello di conferire gloria agli uomini che la meritano (boni vires) e additare al disprezzo coloro che demeritano (improbi). Ma alcuni ritengono che l'uomo virtuoso non debba desiderare la gloria, perché l'esercizio della virtù è esso stesso premio a chi lo pratica. Costoro, mentre intimoriscono gli altri, non tralasciano di mettere il loro nome su quello che scrivono. Non c'è alcuno, osserva Poliziano citando Persio, che non si lasci solleticare dalla lode o non tema di esporsi all'infamia.
   Il lettore umanista sottolinea quest'ultimo concetto e chiosa in margine: «de gloria loquitur». L'etica civile dell'Umanesimo è per lui ancora vigente ed è da rimarcare. Quando poi, più avanti, Poliziano enumera gli accorgimenti necessari per scrivere una buona storia, il lettore cinquecentesco segnala le righe con un tratto di penna e scrive: «que observanda in hysto(ria)». Ancora più avanti Poliziano asserisce che la storia giova agli uomini e di nuovo il lettore rimarca in margine: «laus hystorie».
   Del Poliziano il nostro lettore condivide anche l'interesse lessicale. Egli in varie pagine annota alcuni termini che lo colpiscono: inprese(n)tiarum (p.122), κίταν grece pica latine (p.124), infantissimus (p.125), aloes (p.126), collineo (p.127), mercedula (p.129), rumusculus (p.129), sternax equus (p.131).
   Il lettore è attratto anche da alcuni riferimenti di natura storico-artistica. Il Poliziano nomina i grandi scultori dell'antichità, Fidia, Prassitele e Alcamene, discepolo di Fidia, ed egli sottolinea in margine: «no(m)i(n)a insigniu(m) statuariorum» (p.129). Alla pagina successiva Poliziano ha modo di ricordare l'accorgimento dell'architetto del Faro di Alessandria d'Egitto, Sostratos di Cnido, che aveva iscritto il suo nome sulla torre coprendolo con un intonaco su cui aveva apposto il nome del re Tolomeo, calcolando, come poi accadde, che quando quel rivestimento fosse andato distrutto, i posteri avrebbero letto il suo nome saldamente inciso nella pietra. L'episodio, forse ignoto al nostro lettore, attira questo commento: «Atte(n)de Gnidij architecti vastame(n)tu(m)» (p.130).
   Da notare, infine, il suo apprezzamento della poesia. Non gli sfugge, infatti, la traduzione del Poliziano di un distico del greco Esiodo sulle Muse e annota in margine: «de musis distichon».
   I versi che lo colpiscono (p.123) dicono:
Scimus falsa quidem narrare simillima veris,
         scimus item quoties libitum est, et vera profari.
Noi Muse possiamo raccontare le favole come fossero vere,
ma quando ci piace, sappiamo anche narrare le cose vere.
(Continua)